I miti assertivi – anche se sarebbe meglio chiamarli miti anassertivi – sono delle credenze irrazionali. Chi le condivide le ha spesso imparate suo malgrado dalla cultura e dall'ambiente in cui è cresciuto.
Causano aspettative che ti fanno vivere male con gli altri. Possono diventare delle vere e proprie malattie della comunicazione. Attaccano le radici dell'assertività impedendole di svilupparsi e provocano emozioni negative.
Queste credenze che ti fanno interpretare alcune situazioni. Portandoti a reagire con reazioni di attacco/fuga. Ovvero a comportamenti aggressivi o passivi.
Leggendo questo articolo imparerai alcune di queste credenze negative più comuni. Se sei di fretta leggi almeno il mito del vero amico. Essendo consapevole di quando cadi nella trappola del mito del vero amico, riuscirai a migliorare le relazioni con gli altri e accorgerti di alcune cose che dai per scontate.
I miti assertivi
Sono le tue credenze che determinano le tue emozioni e il tuo comportamento. Prova a immaginare di sederti al parco su una comoda panchina. Passano 20 minuti e non è arrivato nessuno a chiederti cosa vuoi mangiare. Ti arrabbi? Non credo.
Immagina invece di essere in un bel ristorante. Avete i menù chiusi e siete seduti da oramai 20 minuti. Non è ancora arrivato nessun cameriere a chiederti nulla. Non ti da fastidio la cosa?
Adesso magari vedi un cameriere che si sta avvicinando. Mentre eri già pronto a ordinare, noti che si ferma al tavolo di quelle otto persone che sono arrivate dopo ti te.
La differenza nel modo di vivere queste situazioni è data dalle tue aspettative. Se vai al parco non desideri mangiare e, soprattutto, non ti aspetti che arrivi qualcuno a prenderti un ordine. Se invece vai al ristorante vuoi essere servito e gustarti un buon pasto.
Paghi per un servizio e ti aspetti che i camerieri ti vengano a servire. Inoltre, ti aspetti che la gente non ti passi davanti perché è giusto.
Tutte queste aspettative sono regole incise nella nostra mente. Nate dalla nostra esperienza e dalla cultura in cui siamo vissuti. A volte queste possono essere d'aiuto ma spesso ci impediscono di comunicare in modo assertivo.
1) Mito del vero amico
Questo mito porta a pensare che chiunque sia un ‘vero amico’ (parenti, coniugi, amici, colleghi) dovrebbe anticipare e capire i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Il vero amico deve venire incontro alle nostre esigenze e le deve capire da solo.
Senza che noi dobbiamo spiegarci a riguardo.
Quante volte ci siamo detti: 'se fosse veramente un amico, avrebbe capito che non mi piace' oppure 'se davvero ci tenesse a me, dovrebbe…'
Noi ci aspettiamo che gli altri sappiano capire accuratamente i nostri pensieri, le nostre preferenze e i nostri sentimenti. Ci aspettiamo anche che si comportino di conseguenza. Sfortunatamente, la grande maggioranza della gente non è in grado di fare questo, inclusi molti psicologi!
Dal momento che tu sei l’unico a sapere realmente cosa ti passa per la testa in un determinato momento, la responsabilità di far sapere agli altri i suoi sentimenti e i tuoi pensieri è solo tua.
Se tu non comunichi a parole e in modo chiaro che cosa vuoi, ti aspetti, desideri, apprezzi, temi, ecc. è molto probabile che le altre persone non saranno in grado di soddisfarti. Di conseguenza aumenterà il tuo risentimento verso di loro, finché arriverai a litigarci oppure a evitarli.
Una conseguenza è che osserviamo una differenza tra ciò che vogliamo (ma non diciamo) e quello che gli altri fanno. Spesso finiamo per pensare che gli altri si approfittino di noi, oppure non ci tengano in considerazione. In molti casi invece, basterebbe semplicemente comunicare i nostri desideri e le nostre richieste in maniera assertiva.
C'è un altro aspetto importante di questo mito. Un'altra credenza irrazionale molto comune, è che se qualcosa è importante per me, è importante allo stesso modo anche per gli altri. Un esempio, può essere la puntualità. Se non si chiariscono questi punti c'è il rischio di convincersi che gli altri non si interessino di ciò a cui diamo importanza o che cerchino di metterci in difficoltà apposta.
Ad esempio, avevo una collega che dedicava intere giornate a preparare delle relazione per altri uffici e andava a tutte le loro riunioni. Era sempre esausta e pensava che il nostro capo la sfruttasse. Odiava anche quelli dell'altro ufficio perché 'mi mandano le mail con la data delle riunioni senza neanche chiedermi i miei impegni, non gliene frega niente di me'.
Anni dopo, a una riunione finalmente disse al nostro capo che era sommersa dal lavoro e non ce la faceva più. Il capo era molto stupito e ignaro di tutto ciò. Rispose che non era necessario che lei inviasse relazioni ogni settimana.
Le mail, inoltre, le arrivavano per una politica aziendale che prevedeva che lei venisse sempre aggiornata. In realtà nessuno ai piani alti pensava che lei partecipasse a quelle riunioni.
Le persone che credono in questo mito vanno incontro a molte frustrazioni. Come conseguenza spesso iniziano a razionalizzare e a ritenere chi gli sta vicino come responsabili. Arrivano a pensare che le persone non riescono o non vogliono capirli.
Passano una parte del proprio tempo a desiderare, a cercare di trovare la persona giusta. La persona che ‘mi capisce veramente’.
Questa persona giusta dovrebbe essere così abile da saper anticipare e rispondere a ogni desiderio, senza che siano necessarie parole. In realtà non si tratta di trovare la persona giusta, ma di mettere in atto modi chiari e franchi di comunicare agli altri i propri pensieri e le proprie emozioni.
È vero che con l’approfondirsi di un’amicizia le altre persone imparano pian piano ad anticipare e a predire i nostri desideri e i nostri sentimenti. Questo però accade solo dopo che noi li abbiamo espressi con chiarezza e spiegati.
Così anche se volessero che gli altri cambino alcuni comportamenti, molti non si esprimono nemmeno perché 'tanto… è impossibile'. Uno dei modi per cambiare il comportamento degli altri nei nostri confronti è invece proprio quello comunicare il nostro punto di vista, le nostre aspettative, i nostri desideri e le nostre richieste.
Far capire il nostro punto di vista può non essere sufficiente a cambiare il modo di fare degli altri, ma è comunque una premessa necessaria.
A volte osservano con la loro esperienza che una comunicazione assertiva cambia il rapporto con gli altri. Molti dei credenti nel mito del vero amico si mostrano però insoddisfatti perché “la persona non si è comportata così spontaneamente, ma ho dovuto spiegarglielo”.
Sembrerebbe che queste persone non possano mai dichiararsi soddisfatte e vogliano così continuare a pretendere dagli altri il compito impossibile di leggere nella loro mente per capire - senza che siano necessarie le parole o altri mezzi di comunicazione - i loro desideri, i loro sentimenti, i loro pensieri…
2) Mito dell'obbligo
Questo mito può essere diviso in due parti. La prima afferma che se una persona chiede un favore a un amico, quest’ultimo è obbligato a farlo. Di conseguenza non si deve rifiutare un favore a un amico. Ecco la persona che non sa dire di no e rende tutti felici e grati. Tranne se stessa.
Dopo un po’ si rende contro che gli altri a volte la sfruttano. Molti la possono cercare soltanto per un favore, ma comunque non riesce a dire di no per paura di deludere gli altri o di offenderli.
La seconda parte del mito considera ogni richiesta fatta agli altri come un’imposizione. Se chiedo una cosa, la sto imponendo. Come fosse una sentenza da cui non si può scappare.
I credenti di questo mito pensano che gli altri non sappiano rifiutare le richieste. Quindi per evitare il rischio di dare fastidio oppure offendere gli altri, non chiedono mai nulla agli amici, neanche in caso di bisogno.Così non possono utilizzare l’aiuto degli amici neanche quando sarebbe indispensabile.
Un rapporto interpersonale soddisfacente richiede la capacità di rifiutare le richieste altrui quando non le riteniamo giuste o possibili e di avanzare richieste agli amici quando sono ragionevoli.
3) Mito della modestia
Le persone che condividono questo mito pensano di non dover mai elogiare se stesse. Ritengono sia sbagliato complimentarsi oppure parlare di quello che fanno e dei loro successi. Non possono neanche accettare complimenti da nessuno, anche a costo di negare quelli veri o di ridimensionarli.
Quando tale credenza è portata all'estremo, rischiano di non essere capaci di rispondere ai complimenti o di parlare positivamente di sé. Comincia anche a rifiutare la possibilità di avere delle qualità, per parlare solo dei loro aspetti negativi.
Così arrivano ad essere molto critici verso se stessi. Coltivano un’immagine di sé negativa e possono anche deprimersi.
Un risultato inevitabile di questo comportamento è che la persona scarta o sminuisce i propri aspetti positivi e le cose che fa. Finisce per prestare sempre maggiore attenzione ai propri difetti e ai fallimenti, continuando a diminuire la stima di sé e il proprio benessere.
Come si sentono a disagio quando vengono elogiati, pensano che ogni critica nei loro confronti sia giustificata e meritata.
L’adesione a questo mito è non solo improduttiva ma anche ingiustificata, infatti:
• Ogni persona ha delle qualità e degli aspetti positivi che deve riconoscere e valorizzare.
• Parlare con gli altri, al momento giusto e nella misura giusta, dei propri aspetti positivi e dei propri interessi è un modo importante per iniziare una conoscenza.
• Accettare i complimenti degli altri, senza negarli o sminuirli, costituisce un aspetto importante di ogni rapporto di amicizia; come anche poter fare dei complimenti.
Al contrario invece:
• Il parlare dei propri difetti e delle proprie disgrazie rende precaria una conoscenza appena avviata.
• Non mostrare reciproco apprezzamento, anche verbalmente, rende meno soddisfacente e significativo un rapporto d’amicizia.
4) Mito dell'ansia
Le persone che condividono questo mito sono spaventate all’idea che gli altri si accorgano della loro ansia. Pensano di essere giudicati dalle persone 'deboli' o incapaci.
Soffrono lo stereotipo della persona fredda, che sa controllarsi ed è padrona della situazione. Per questo diventano incapaci di esprimere le loro emozioni e i loro pensieri quando sono in ansia. Tutti i loro sforzi sono per nascondere l’ansia che provano. Per cercare di presentarsi ‘bene’.
Purtroppo molto spesso gli sforzi per nascondere l’ansia rendono la persona più sensibile a ogni aumento dell’ansia, anche se lieve. Tutta la loro attenzione è concentrata per monitorare l'ansia. Questo diventa un circolo vizioso in cui più sono in ansia più do attenzione ai segni dell'ansia. Così mi preoccupo ancora di più e divento ancora più ansioso.
Tutti soffriamo di ansia in certe situazioni. Nella maggior parte delle volte l’ansia è una risposta normale. Può anche essere utile, un po' di ansia per lavorare a un progetto mi mantiene motivato e concentrato.
In altre situazioni l’ansia può essere eccessiva, tuttavia questa non è una ragione sufficiente per cercare in ogni modo di mascherarla. Il problema non è l'ansia ma vergognarsi che sia visibile.
Un trucco per ridurre l'ansia e vedere che se anche gli altri se ne accorgono non succede niente è dirlo apertamente. 'Sono in ansia'. Magari sdrammatizzando, in maniera scherzosa. 'Oddio, così mi metti ansia'.
Quando chi crede in questo mito dice di essere in ansia e vede che non succede nulla, l'ansia si riduce.
I punti chiave dei 4 miti affermativi
- Crediamo che chiunque sia un vero amico debba conoscere i nostri desideri, le nostre opinioni, il valore che diamo alle cose e quello che ci aspettiamo dagli altri.
- Crediamo che sia obbligatorio dire di sì per rimanere amici e che gli altri non siano in grado di rifiutare le nostre richieste.
- Crediamo che sia sbagliato parlare positivamente di se stessi e di quello che si fa.
- Crediamo che gli altri siano molto bravi a capire quando siamo in ansia e temiamo che quando se ne accorgono ci prendano degli incapaci o dei deboli.
Bibliografia
Bell’articolo, interessante ed offre qualche spunto utile per lavorare su se stessi.
Vedo molti elementi tipici delle Persone Altamente Sensibili.
Un tratto della personalità estremamente determinante e incisivo nella vita di chi si ritrova ad esserlo.
Propongo come riferimenti molto interessanti all’autore e a chiunque legga e senta il bisogno di scoprire di più in merito, i lavori di psicologi e persone che studiano a fondo l’Alta Sensibilità:
Persone Altamente Sensibili di Elaine Aron (ottimo trattato sull’argomento, essendo stata lei la prima ad occuparsene in maniera approfondita e professionale);
Il potere nascosto degli Ipersensibili di Christel Petitcollin;
Le persone sensibili hanno una marcia in più di Rolf Sellin;
Poi altri autori come ad esempio Ilse Sand.
In Italia si sta spendendo molto sull’argomento la dott.ssa Elena Lupo.